Storia
METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA E STORIA DELLA STORIOGRAFIA
La parola “metodo” deriva dal greco metà-hodòs, la via che conduce oltre, il tragitto più efficace per raggiungere un determinato obiettivo; di metodologia storica si comincia a parlare nel V sec. a.C. con Erodoto e Tucidide, che abbandonano i caratteri tra Atene e Sparta, vanno alla ricerca di fonti documentate. Se Erodoto si preoccupa di raccogliere ed esporre notizie, Tucidide cerca di “vagliare criticamente” le fonti raccolte ed è il primo ad indicare allo storico il compito dell'”acribia“, ovvero la scrupolosa ricerca delle fonti. Nell’età ellenistico-romana molta importanza avrà l’opera di Polibio, vissuto nel II secolo a.C., che per primo si porrà la domanda circa “lo scopo” della storia, per lui ritrovato nella storia “pragmatica” che esalta l’opera compiuta dell’Impero di Roma. La superiorità dell’Impero di Roma anima il lavoro di storici come Livio e Tacito, per i quali però poco importa la validità delle fonti e molto invece l’obiettivo da raggiungere.
Nell’età medievale la storia acquista, grazie al pensiero di Agostino, un senso provvidenziale, “rompe” con la concezione di storia ciclica del passato, si muove lungo un percorso rettilineo che ha un inizio, uno sviluppo e una fine che coinciderà con il ritorno di Cristo. La storia “provvidenziale” si traduce dal punto di vista metodologico in “cronaca” (ad esempio Historia Langobardorum di Paolo Diacono) e nel racconto delle chanson de geste, che permettono alla storia di irrompere nel mondo popolare, “volgare”, come la lingua in cui sono scritti i racconti che celebrano le epopee di un popolo.
La metodologia storiografica si arricchisce nell’età moderna grazie all’opera dei fiorentini N. Machiavelli e F. Guicciardini, per i quali la storia ha un oggetto, i fatti politici contemporanei, uno scopo, determinare un’efficace azione politica d’intervento, un metodo, l’attenzione al vaglio critico delle fonti. Il Seicento è caratterizzato invece dall’affacciarsi di una metodologia storiografica ideologica, le vicende della Riforma e Controriforma religiosa pongono all’attenzione degli studiosi non tanto una realtà da comprendere, quanto una realtà, quella della corruzione del papato, da attaccare, come fa Paolo Sarpi nella Istoria del concilio tridentino.
Il Settecento, il secolo dei Lumi, della ragione, dei philosophes, elabora una nuova concezione di storia e un nuovo metodo di ricerca; l’Illuminismo tende a valutare il passato per meglio comprendere il presente, anche se da un lato G. Vico afferma la ciclicità della storia, l’unica cosa che l’uomo può conoscere, perché fatta da lui, l’unica cosa che può indagare e comprendere, dall’altra Voltaire è polemico nei confronti della storia, perché essa ha tradito l’uomo: il terremoto di Lisbona del 1755 ha dimostrato che quello in cui viviamo non è il “migliore dei mondi possibili”, pertanto compito dello storico non è ricostruire gli eventi più importanti, alla ricerca di qualche disegno provvidenziale, ma porre attenzione alla vita, ai costumi, a quella umanità che fa la storia.
La storiografia ottocentesca risente degli effetti della rivoluzione francese e dell’affermarsi dello spirito nazionalistico. Lo storico diventa quasi un missionario che ha il difficile compito di ricostruire o edificare il passato. Un posto importante spetta a L. Von Ranke che, dall’università di Berlino, elabora e lancia un nuovo metodo, quello critico-filologico, che pone attenzione alle fonti della storia e che sostiene che compito dello storico non è quello di “collezionare i fatti ma tentare una comprensione del passato, grazie all’intuizione e a una vivente partecipazione”: lo storico, più che narrare, deve ricostruire con la massima obiettività e imparzialità i fatti accaduti.
Diversa è l’impostazione metodologica di Marx ed Engels, per i quali la storia è storia sociale e culturale, che non va compresa a partire dalle idee come in Hegel, ma dai bisogni materiali di vita dell’uomo. Se la storia è materialistica è anche però critica e normativa. Nella storia Marx cerca di individuare delle leggi generali, quelle economiche, che, indagate e comprese, permettono di spiegare l’evolversi della storia.
La storia è mossa dalle strutture sociali che sconvolgono tutto il sistema delle sovrastrutture, istituzioni e idee appunto, che fino a quel momento erano considerate l’elemento propulsore della storia.
La concezione marxista della storia apre le porte al Novecento storiografico che celebra l’avvento di una “nuova storia”, la new history, che esalta sempre più l’attenzione storica non verso i fatti politici, ma verso strutture sociali, come la geografia, l’economia, la società, l’antropologia, ecc. e metodologicamente il rigore della ricerca scientifica.
Criticano l’approccio positivistico alla storia i rappresentanti della scuola delle Annales, M. Bloch, L. Fevbre, F. Braudel, J. Le Goff, che rifuggono dal metodo rankiano di studiare la storia “per capire come stavano esattamente le cose” e volgono la loro attenzione allo stretto legame tra studi storici e problematiche sociali. I protagonisti della storia non sono più i grandi uomini, ma gli sconosciuti, i piccoli uomini anonimi che animano le “storie locali” e le “micro-storie”. La storiografia delle Annales privilegia la storia globale (capace di fornirci una conoscenza complessiva del passato), di lunga durata (i tempi delle strutture storiche che cambiano lentamente), fatta di fonti prima trascurate (mappe catastali, documenti parrocchiali, dipinti) e di strutture (economiche e sociali) prima non considerate. Le idee guida che stanno dietro le Annales possono essere riassunte come segue.
Esse intendono sostituire la tradizionale storia narrativa, concentrata sugli avvenimenti, con una storia analitica orientata ai problemi. Per questo preferiscono la storia dell’intera estensione delle attività umane ed una storia principalmente politica. Infine, per raggiungere i primi due scopi è necessaria una collaborazione con le altre discipline: con la geografia, la sociologia, la psicologia, l’economia, la linguistica, l’educazione e così via. Sebbene non sia esatto parlare delle Annales come di un unico movimento storiografico perché al loro interno differenti sono gli orientamenti di ricerca, tuttavia esse hanno utilizzato nella “originalità delle fonti storiche” un tratto distintivo comune. Quando nel corso degli anni Sessanta e Settanta gli storici delle Annales abbandonano la base economica in favore della “sovrastruttura” culturale, la demografia, l’antropologia, le analisi qualitative, le indagini quantitative entrano a pieno titolo nel lavoro storiografico. Lo storico integra le tradizionali fonti documentarie d’archivio con documenti inediti, mai considerati prima. Sono entrati a far parte dei documenti storici archivi dei partiti, dei sindacati, di altre associazioni, delle imprese, delle chiese.
La storiografia del Novecento in Italia
Nel panorama storiografico italiano un ruolo di rilievo spetta all’opera di B. Croce e G. Gentile. Per B. Croce, più volte ricordato nell’articolo precedente, la storia è storia contemporanea, perché “per remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa, in realtà, è storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale i fatti propagano le loro vibrazioni”. Le fonti della storia hanno il compito di stimolare nello storico stati d’animo che sono già in lui. Croce distingue tra storia, alimentata dall’interesse presente che vivifica i documenti del passato, e cronaca, che, invece, non è alimentata da alcun interesse e riduce i documenti a vane testimonianze: “La storia è la storia viva, la cronaca, la storia morta; la storia è storia contemporanea, cronaca, storia passata”. La storia hail compito non di condannare o esaltare gli eventi, ma di comprenderli, ecco perché è storia “razionale”.
Negli ultimi anni della sua vita, in seguito all’avvento del fascismo, Croce definì la storia come “pensiero”, ovvero la necessità razionale della storia, e “azione”, cioè ciò che ciascuno di noi fa per tradurre a suo modo quella razionalità. Da un punto di vista metodologico, l’indagine storiografica crociana diventa indagine filosofica, perché la filosofia non si occupa di fatti che stanno al di fuori della storia ma “la vita, la realtà è storia e nient’altro che storia” e ogni conoscenza è conoscenza storica.
- Gentile riprende la teoria crociana dell’identità tra storia e filosofia e nega la distinzione tra la storia che si pensa (res gestae) e la storia che si fa (historia rerum gestarum), pervenendo all’identità tra storia e storiografia, e superando così la dialettica opposizione hegeliana tra tesi, antitesi e sintesi. Anche Gentile afferma la contemporaneità della storia: “il solo Ariosto che conosciamo, autore del Furioso, non è altro che lo stesso poema. Il quale a sua volta è conosciuto, se è letto, inteso, gustato”.
Il metodo ermeneutico di H. G. Gadamer
Per quanto attiene alla storia, la lezione gadameriana propone di focalizzare l’attenzione non tanto sulla conoscenza dei fatti storici nella loro dimensione puramente narrativa, quanto sulla loro “comprensione” mediante l’analisi dei documenti che consentono allo studente di vivere la storia come “evento” e come “esperienza” diretta. Gadamer ricorda che bisogna realizzare tra il documento da interpretare e l’interprete una “fusione di orizzonti”, che allontani la “distanza storica” e che permetta una lettura dei documenti non tanto alla luce della più accreditata tradizione storiografica, ma della propria personale interpretazione. Sul metodo ermeneutico torneremo nell’analisi dei metodi di ricerca da proporre agli studenti (Cfr. R. Pagano, L’implicito pedagogico in Gadamer, Editrice La Scuola, Brescia 1999).