Storia
FINALITÀ E METODI DELLE DISCIPLINE STORICHE NELLA SCUOLA SECONDARIA SUPERIORE
“Perché studiare la storia?”. J.G. Droysen rispose già nell’Ottocento che “lo studio della storia è il fondamento della preparazione e formazione politica. L’uomo di Stato è lo storico pratico”; dunque, lo studio della storia serve a formare il “buon cittadino”. L’insegnamento della storia nella scuola secondaria superiore, ancora oggi, ha come obiettivo quello di delineare l’identikit del buon “uomo e cittadino”. Soffermiamo la nostra attenzione su alcune finalità formative proposte dalle nuove indicazioni nazionali. Esse riguardano la “ricerca dell’identità”, il complesso rapporto passato-presente, il senso della storia e la relazione tra soggetti e contesti.
Ricerca dell’identità: comprendere il presente mediante il passato e valutare il passato mediante il presente
La “storia è l’incubo da cui cerco di destarmi”. Queste parole pronunciate da S. Dedalus nell’Ulisse di Joyce ci consentono di capire con immediatezza quanto sia difficile il rapporto dell’uomo con il passato. Esso può essere vissuto con nostalgia, mitizzazione, identificazione, ma forse, nessuna di queste risponde alle esigenze del vero lavoro storiografico (Cfr. M. Bretone, Dieci modi di vivere il passato, Laterza, Bari 1991). Infatti: se la nostalgia si nutre di un lucido pessimismo, e più che esaltare o rimpiangere il passato, vuole farsi strumento di una sua comprensione, se la mitizzazione assume la forma del “sogno” e inventa il passato, se l’identificazione è l’aspirazione ad un passato che avremmo voluto che fosse il nostro ma che non abbiamo veramente vissuto, la vera storia ha ben altre pretese. Essa deve riportare il passato alla memoria nella maniera più oggettiva possibile per consentire allo storico di non infondergli una vita fittizia, ma per farne emergere il senso nell’ottica della verità. Una giusta conoscenza e problematizzazione del passato contribuisce alla formazione di una propria identità culturale e civile, a quella “consapevolezza di se stessi in relazione all’altro da sé”. Ecco perché i nuovi programmi, riprendendo le proposte della Commissione Brocca, hanno riservato lo studio delle civiltà antiche e medievali al primo biennio (I, II anno), quello del periodo compreso dall’XI secolo fino alle soglie del Novecento al secondo biennio (III e IV anno) e lo studio dell’età contemporanea, dall’analisi delle premesse della I guerra mondiale fino ai nostri giorni, all’ultimo anno (il V). C’è chi potrebbe obiettare che anche lo studio della storia antica è utile alla comprensione del presente, specie per la nazione italiana che si è formata dal mondo latino, ma è anche vero che è importante conoscere l’età contemporanea e che questa si conosce solo se precedentemente si è stratificata la conoscenza storica del passato. Bisogna che l’insegnante insegni all’allievo a “interrogare” il passato per acquisire la comprensione del presente. Non si può fare a meno della “memoria storica”, ma come “valutare il passato mediante il presente”?
Ad esempio, come “valutare” il passato nazista è lo sterminio degli ebrei compiuto dalla Germania del terzo Reich? Bisogna insegnare agli studenti che non è giusto penalizzare il presente della Germania alla luce del passato nazista, ma che occorre imparare a distinguere tra ciò che è stato è ciò che è, senza avere pregiudizi; il passato nazista va analizzato per ciò che ha rappresentato in quel determinato periodo storico, ma il presente va considerato per ciò che attualmente è la Germania. La “memoria” storica, però, ci deve servire come ammonimento, a imparare dagli errori, affinché gli sbagli non si ripetano. Ecco perché è importante, oggi, “ricordare” e celebrare in giornate appositamente istituite la memoria di eventi orribili che non si devono più ripetere (la giornata della memoria, il giorno del ricordo).
La scuola secondaria non può limitarsi ad una conoscenza nozionistica, essa deve mirare ad un apprendimento euristico ed ermeneutico, alla formazione di una coscienza civica. Lo studente, oltre a conoscere la storia del mondo contemporaneo, dovrà conoscere “i problemi” più urgenti del mondo in cui vive, ad esempio la “questione ambientale”, “la crisi dell’ecosistema” e per far questo la storia chiede l’ausilio della geografia, il cui studio è fondamentale nel primo biennio, perché apre la discussione storica per gli anni successivi.
Compito della scuola e dell’insegnamento della storia, come quello di altre discipline, è rendere consapevoli i giovani, futuri cittadini, delle sfide del presente, responsabilizzandoli negli atteggiamenti, nelle scelte, nella loro appartenenza alla società civile. Dunque bisogna imparare dal passato perché “l’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato” (Cfr. M. Bloch, Apologia della storia, Einaudi, Torino 1974).
Maturazione di una coscienza europeistica
Allo studente si chiede di studiare la storia per conoscere l’Europa nei suoi aspetti storici e politici. A tal proposito si richiede di dare uno spazio adeguato al tema della “Cittadinanza e Costituzione” (ex educazione civica), che attraverso lo studio di documenti (Costituzione italiana, Magna Charta libertatum, ecc.) permetta di conoscere i fondamentali non solo del nostro ordine costituzionale, ma del resto d’Europa e di altri Stati. È giusto che i programmi storici si orientino in chiave europea, perché lo studente, al termine del percorso formativo, si deve sentire inserito in una dimensione che non sia solo geografica, ma soprattutto “politica”, che superi i limiti nazionali, “pensando” in chiave europea e potremmo aggiungere “mondiale”.
Per una “coscienza” della pace e della tolleranza
Concludiamo ponendo l’accento su quel “confronto” con l’altro da sé” che richiama alla mente l’Umanesimo integrale di Maritain; sembra che tra le finalità formative dell’insegnamento della storia, in quel richiamo all’importanza della “memoria”, anche artistica, in quel confronto con le realtà storiche del passato nefaste per l’umanità come il nazismo, il fascismo, l’intolleranza religiosa, lo schiavismo, si voglia “educare a comprendere” lo studente di quanto fondamentale sia la pace e il dialogo tra gli uomini, di tutte le razze, di tutte le religioni. L’insegnamento della storia ha questo forte ruolo “educativo”, anche se non è facile perché è dominata dall’odio, dalle guerre, dagli spargimenti di sangue. Il docente dovrà, nella sua pratica didattica, fare in modo che dalla guerra emerga il desiderio di pace, dell’intolleranza la possibile convivenza tra i popoli di diversa etnia. È importante sottolineare che i ragazzi hanno i loro pregiudizi, ricordano ciò che è stato loro raccontato (i tedeschi violenti, gli ebrei attaccati al denaro) e l’insegnante dovrà, attraverso un’analisi-confronto con la storia delle altre civiltà, far rivedere loro quei pregiudizi. La scuola ha una grande responsabilità: educare alla convivenza civile tra i popoli, per cui l’insegnamento della storia, con l’ausilio di Cittadinanza e Costituzione, diventa fondamentale.
Le linee fondamentali del dibattito attuale sullo studio della storia e sulle diverse forme di lavoro storico in aula
In questo paragrafo analizzeremo “come” insegnare la storia alla luce delle nuove riforme degli ordinamenti e dei programmi scolastici. Prima ancora di analizzare le possibili nuove metodologie di insegnamento, non possiamo non fare un breve excursus all’interno dei “vecchi” modelli didattici, ancora validi peraltro per tutti gli insegnamenti di stampo tradizionale.
Il modello “gentiliano”
Quando G. Gentile nel lontano 1923, in pieno regime fascista, attuò la cosiddetta riforma dei licei, aveva un solo scopo: quello di creare una scuola “elitaria e docentrica”, in cui ciascun docente fosse un esempio, un modello da imitare per i suoi allievi. Il dialogo educativo tra insegnante e allievo è “una relazione dialettica in atto” e tutta l’azione didattica si carica di valenza pedagogica e filosofica, perché il momento didattico non è altro che il “momento cosciente” del processo filosofico dello spirito in atto (Cfr. R. Pagano, Insegnando la storia tra esperienza e teoria, Laterza, Bari 1996). Il docente, attraverso la sua disciplina, contribuisce alla crescita dei giovani secondo il ritmo stesso dello spirito. Nel pensiero gentiliano poca importanza ha la “metodologia” attuata, perché la lezione è un momento artistico e il docente stesso è centrale, per Gentile, nell’atto educativo; la sua didattica e la sua metodologia non possono essere contestate, perché il docente, in quanto “artista”, non può sbagliare; i giudizi e la valutazione dell’insegnante non possono essere messi in discussione da alcuno. La “scuola” nella concezione gentiliana è una scuola “chiusa”, unica depositaria dell’educazione dei giovani, all’interno della quale l’insegnamento della storia, come invero di qualsiasi altra disciplina, avviene in maniera nozionistica, mnemonica; è una scuola che valuta i soli “contenuti” e non le “competenze”.
La rivoluzione scolastica del 1968
La contestazione giovanile del 1968 cerca di combattere l’idea gentiliana della scuola “elitaria” e “chiusa”, ma sostanzialmente da un punto di vista metodologico e didattico poco cambia. Il docente è sempre al centro del dialogo educativo, anche se più che Croce o Gentile, spiega Marx e Marcuse. La scuola valuta sempre il “sapere”; anche la concezione della storia cambia, in quanto essa non è più l’affermarsi dello spirito del mondo, ma è “la lotta di classe”. Tuttavia bisogna riconoscere alla contestazione sessantottina dei meriti, tra cui l’apertura al sociale, l’attenzione verso i ceti umili, l’istruzione estesa a tutte le classi sociali. La storia, se pur insegnata ancora tradizionalmente “dalla cattedra”, vede protagonisti non più i grandi uomini, quali Cesare, Napoleone, Mussolini, ma gli uomini di tutti i giorni e il popolo.
Il modello strutturalista
Finita l’epoca delle grandi contestazioni, l’affermarsi in Europa della storiografia delle “Annales“, che pone l’attenzione alle strutture della storia, fa elaborare a J. Bruner, uno degli esponenti dello strutturalismo, un nuovo modello didattico di insegnamento che privilegia all’aspetto mnemonico gentilino, quello logico-scientifico. Lo studente non deve tanto imparare gli avvenimenti storici, quanto avviarsi a una mentalità scientifica, porre domande, costruire problemi, analizzarli, interpretarli. La felice intuizione strutturalistica, però, non trova una rispondenza pratica, perché ancora è una scuola fondata sul “sapere” e non “sul saper fare o essere”.
Dall’insegnamento trasmissivo alla mediazione didattica
La formazione culturale è un percorso lungo e complesso che non può in alcun modo ridursi all’accumulazione quantitativa di nozioni e concetti. Per questo, il processo di apprendimento scolastico va concepito come un processo in cui convengono competenze, meta-competenze, concetti e nozioni e l’azione didattica va programmata e attuata tenendo ben presenti tali finalità. Il tradizionale modello trasmissivo di insegnamento basato sulla triade lezione frontale / studio / interrogazione deve considerarsi assolutamente superato a favore della mediazione didattica. Il modello tradizionale è in grado di trasmettere e valutare principalmente le capacità mnemoniche di ritenere un’elevata quantità di nozioni e le abilità espressive, ovvero la capacità di riproporre, parafrasando, quanto appreso in modo logico, coerente e chiaro. Questo è però un modello che non coglie l’occasione che lo studio della storia fornisce in termini di crescita personale e formazione della personalità. All’opposto di tale modello si pone la mediazione didattica, in cui il libro di testo, adottato dal docente, non è l’unico, né il principale strumento di apprendimento, ma è affiancato da esercitazioni scritte e laboratori pratici in cui lo studente diventa protagonista dell’indagine storiografica. Mediante l’analisi di testi appositamente selezionati dal docente, lo studente mette in pratica la metodologia di ricerca, l’interpretazione ed analisi delle fonti compie così quelle operazioni cognitive necessarie a costruire una conoscenza storica, sviluppando nel contempo quelle abilità analitiche che costituiranno una competenza applicabile in qualsiasi ambito della propria vita. Il ruolo del docente si trasforma dunque da quello di semplice esecutore di un programma in quello di mediatore tra la disciplina e lo studente: il suo compito e la sua vera abilità stanno nella capacità di svolgere una mediazione tra il sapere esperto e lo studente in via di formazione, stimolare la curiosità e l’interesse e con essi la capacità di apprendere. L’attività didattica dovrà dunque mirare alla elaborazione di curricoli, alla definizione di programmazioni didattiche e unità di apprendimento pensate per stimolare, favorire, aiutare, provocare i processi di apprendimento attraverso la costruzione delle conoscenze. Il vero insegnamento, il vero scopo e la vera utilità del docente non stanno dunque nel fornire all’allievo la conoscenza “bella e pronta” da imparare e memorizzare, bensì nel metterloin condizione di poter costruire la conoscenza. Solo così potrà sviluppare specifiche abilità cognitive sempre più complesse man mano che aumenterà il grado di difficoltà delle conoscenze da costruire: da ciò la stretta interdipendenza ed il reciproco condizionamento tra programmazione, mediazione didattica e processi di apprendimento.
Il laboratorio di storia
Se la scuola non deve solo insegnare a “sapere”, se non deve valutare i soli contenuti, quale potrà essere il ruolo è il contributo dell’insegnamento di una disciplina come la storia? Giudichiamo interessante la proposta dei “laboratori di storia”, accennati già con i Programmi Brocca, che permettono una interazione delle varie metodologie didattiche. Nel LDS (laboratorio di storia) cambiano i ruoli del docente e del discente; il docente non è il professore gentiliano che dalla cattedra impartisce un elenco di nozioni da memorizzare, ma acquista l’habitus mentale del “ricercatore” che deve programmare percorsi didattici, elaborare curricoli, sperimentare metodologie, conoscere la ricerca storica, verificare il lavoro svolto; il discente è il protagonista attivo di questa attività di ricerca; la scuola è il luogo dove tutto ciò si può realizzare, spazialmente (aule-laboratorio, archivi, biblioteche) e temporalmente (orari scolastici ed extrascolastici). È importante anche l’interazione della scuola con l’extrascuola (archivi, biblioteche, musei) e con altre istituzioni presenti sul territorio (Comune, Provincia). Se in classe il docente narra, racconta gli avvenimenti, nel LDS deve ipotizzare percorsi di ricerca per giungere a nuove conoscenze. Il LDS è il luogo dove si “impara ad imparare”, dove al discente si chiede di attivare un processo mentale-logico-scientifico, che va oltre il “cosa” studiare e giunga al “come” (metodologie didattiche) e “perché” (finalità storiografiche di una determinata ricerca). Il LDS non sostituisce ma integra la lezione in classe e ha come finalità:
- acquisire la consapevolezza che le conoscenze storiche sono il frutto della elaborazione delle fonti operata dagli storici;
- assumere un atteggiamento mentale antidogmatico (cfr. M. Mencarelli, Metodologia didattica e creatività, La Scuola, Brescia, 1988);
- passare dal sapere al “saper fare”;
- comprendere l’importanza del lavoro do équipe.
Gli obiettivi del LDS non sono cognitivi, ma meta-cognitivi, in quanto interessano le capacità ermeneutiche e le abilità operative. Essi mirano a:
- saper distinguere tra storia e storiografia;
- individuare i documenti utili per la ricostruzione storica;
- saper raccogliere, conservare, selezionare, interrogare, interpretare le fonti;
- conoscere i luoghi istituzionali della memoria storica;
- saper consultare gli schedari di raccolta;
- saper usare gli strumenti fondamentali del lavoro storico (cronologie, tavole sinottiche, atlanti storici e geografici, raccolte bibliografiche e documentarie);
- ipotizzare percorsi di ricerca;
- scrivere relazioni di storia.
Il docente, alla luce di queste richieste, non può limitarsi alla spiegazione tradizionale, ma deve ipotizzare, progettare percorsi possibili di ricerca che deve sottoporre all’attenzione degli allievi. Deve individuare delle tematiche da trattare e all’interno di esse deve predisporre delle unità di apprendimento. Il docente diventa così coordinatore, tutor, ricercatore, storico. Per la verifica finale si terrà conto delle competenze relative al saper utilizzare gli strumenti storici (carte cronologiche, mappe geografiche), preparare schede bibliografiche, formulare ipotesi di ricerca, stendere relazioni scritte. Per la valutazione non si terrà conto dei livelli di conoscenza raggiunti e delle abilità espositive-narrative, ma dell’acquisizione di una mentalità scientifica, della capacità di porre dei problemi e risolverli.
Gli strumenti per la costruzione del sapere storico a scuola: dal “libro di testo” al “manuale” digitale
Nel passato si è discusso molto sull’insostituibilità dei manuali di testo per l’insegnamento della storia; se, però, negli anni Settanta la scelta del manuale aveva come peculiarità la sola ideologia più o meno consona al pensiero del docente, oggi più che l’ideologia bisogna valutare altre caratteristiche più didattiche e scientifiche. Un libro di testo non più solo limitarsi al racconto (sapere) ma deve anche insegnare il know how (saper fare). Certo, scegliere un libro di testo non è un’operazione semplice, perché spesso un manuale poco chiaro nell’esposizione o molto fazioso allontana i giovani dalla disciplina stessa. Allora potremmo provare a indicare delle linee guida per scelta del testo di storia da seguire da parte del docente:
- vagliare analiticamente le finalità e la struttura del manuale (quali il progetto didattico alla base dell’opera, gli obiettivi, le finalità didattiche, la struttura);
- il manuale deve rispecchiare la metodologia e i principi didattici che il docente intende seguire;
- saper “interpretare e decodificare” il manuale per meglio sottoporlo all’attenzione degli studenti.
Per “valutare” un manuale di storia bisogna, poi, saperlo “interrogare” e chiedere:
- riguardo alla sintassi del testo, quale forma narrativa si privilegia (descrittiva, analitica, argomentativa), se il linguaggio è realistico, retorico o figurato, se il lessico è o meno specialistico;
- riguardo all’epistemologia storiografica, che tipo di scelte storiografiche seguono e perché, e ancora, se è presente in maniera congrua l’apparato documentativo e bibliografico;
- riguardo alle finalità didattiche, se c’è o meno coerenza tra le parti del testo e se è presente un ricco apparato didattico (sintesi dei vari capitoli, tavole sinottiche, percorsi di ricerca, bibliografie, ecc.);
- oggi, inoltre, il testo deve essere onesto parte anche on line (testo misto), ovvero si deve poter accedere mediante un codice identificativo personale a tutta una serie di materiali (ad esempio esercizi di approfondimento, itinerari tematici, sezione cartografica, mappe concettuali, semplificazioni in Power Point, ecc.) utili sia per il docente sia per il discente;
- infine, porre attenzione alla data di edizione (di tutti i testi considerare sempre l’edizione più aggiornata) e anche gli autori dei manuali (chi sono, cosa hanno scritto, ecc.).