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Massimo Gallo

Filosofia

ERACLITO E IL DIVENIRE

Cenni biografici

     Vissuto tra il VI e il V secolo a.C., Eraclito nasce e muore a Efeso, nell’odierna Turchia, precisamente sulle coste della Lidia. Come per Pitagora, anche la figura di Eraclito si confonde spesso tra leggenda e realtà. Pare che fosse discendente dei re della Lidia ma che avesse rifiutato di acquisirne il titolo nobiliare cedendolo al fratello. Allo stesso modo, però, sembra che avesse in odio la democrazia in Efeso, e che si fosse rifiutato addirittura di contribuire alla stesura della carta costituzionale della città.

     I suoi biografi successivi, primo tra tutti Diogene Laerzio, lo descrivono come un uomo talmente schivo e superbo da essere dipinto addirittura come un misantropo. Di Eraclito sappiamo con certezza che scrisse un’opera in forma aforistica (probabilmente intorno al 490 a.C., il cui titolo è stato successivamente indicato in modo generico Intorno alla natura), di cui ci sono giunti numerosissimi frammenti oltre ad un buon numero di commenti e ricostruzioni operati da altri autori. Per la difficoltà di interpretazione dei suoi aforismi e delle sue sentenze piuttosto enigmatiche (e certamente anche per il suo stile di vita ombroso), il filosofo di Efeso si è guadagnato l’appellativo di Eraclito l’Oscuro.

Eraclito secondo Diogene Laerzio

[Eraclito] fu altero quando altri mai e guardava tutti con fiero disprezzo […]. Pregato dai suoi cittadini di dare un corpo di leggi, egli rifiutò perché già la città era dominata da una cattiva costituzione. Si ritirò nel tempio di Artemide a giocare agli astragali con i fanciulli […]. E alla fine divenne misantropo e si appartò dall’umano consorzio e trascorreva la vita sui monti, cibandosi di erbe e di verdure. Per questo tenore di vita fu colpito da idropsia e fece ritorno in città. E ai medici chiese in modo enigmatico se da una inondazione sapessero creare una siccità. Poiché quelli non lo capivano si seppellì in una stalla di buoi, nella speranza che il caldo dello sterco avrebbe fatto evaporare l’acqua che lo affliggeva. Ma poiché neppure così riuscì a guarire, si spegneva all’età di sessanta anni.

(Diogene Laerzio, Vite dei filosofi)

Il pensiero di Eraclito

     La filosofia di Eraclito potrebbe rispecchiare perfettamente, secondo alcuni suoi interpreti, la sua biografia. Egli infatti, che si opponeva alla democrazia, opera un’ammissione iniziale nella sua speculazione che sembra essere immediato riflesso delle proprie posizioni politiche. Esistono, secondo il filosofo, due tipi di persone nel mondo:

  • gli svegli, ossia una minima parte degli uomini, che rappresentano i depositari della verità, i filosofi;
  • i dormienti, ossia la maggior parte degli uomini che rappresentano “i più”, la gente comune che non si accorge della verità per come è e che si lascia andare alle conclusioni del senso comune.

     Questa antitesi tra svegli e dormienti, basata su una visione elitaria del sapere, pur risentendo delle tendenze aristocratiche di Eraclito, non deve in ogni caso essere interpretata come una contrapposizione tra aristocratici e popolo, piuttosto deve essere letta in senso strettamente filosofico, come frutto dell’ammissione che il filosofo, l’uomo che conosce la verità, è distinto dagli altri.

     Il filosofo, secondo Eraclito, non è nemmeno identificabile con gli antichi sapienti, che risultavano più che altro essere famelici divoratori di nozioni senza che mai riuscissero a giungere al nocciolo reale delle cose, alla loro verità. Eraclito sostiene che il filosofo deve sapersi elevare al di sopra di una particolare visione, per riuscire a cogliere l’essere (e il mondo e la natura) in tutta la sua interezza.

La teoria del panta réi è la dottrina dei contrari

     La massima più citata di Eraclito è la famosissima affermazione panta réi, che significa tutto scorre. In base a questo assunto Eraclito è stato definito il filosofo del divenire. Egli concepisce il mondo come un flusso perenne in cui appunto tutto scorre, simile alla corrente di un fiume in cui le acque non sono mai le stesse; da qui la sua celebre frase: Non è possibile discendere due volte lo stesso fiume. Ne deriva una visione della realtà come un eterno divenire: le cose mutano continuamente e anche ciò che appare statico e immobile in realtà è dinamico e soggetto a un’incessante trasformazione (tale concezione, come vedremo, è in netta contrapposizione rispetto alla scuola eleatica).

     Il divenire di tutte le cose non è caotico e disordinato ma è regolato da leggi ben precise: esso infatti si manifesta nella continua trasformazione di un contrario nell’altro. Più precisamente, come molti dei suoi precedessori, Eraclito considera la realtà come costituita da coppie di forze oppositive. Dunque alla base della continuazione del mondo, è in veste di scopo della natura delle cose, non sta la ricerca della conciliazione degli opposti, ma sta la necessità al mantenimento del conflitto esistente tra essi (pólemos) che genera e mantiene stabili le dinamiche della natura. Un contrario, infatti, non può esistere indipendentemente dall’altro (unità dei contrari). La loro interdipendenza è regolata da un elemento superiore, il cosiddetto lógos. Nel lógos, sostiene Eraclito, coincidono tutte le opposizioni e tutte le differenze; l’inizio e la fine delle cose, come un circolo, hanno sede nel lógos.

Il termine lógos ha diversi significati: esso deriva dal verbo greco legein che significa “legare” ma anche “parlare”, “discutere”. Facendo riferimento a quest’ultimo significato, nell’ambito della speculazione filosofica il lógos ha preso a indicare il “ragionamento”, inteso come facoltà di stabilire connessioni logiche tra le cose. In Eraclito la parola lógos indica la ragione, la legge che governa l’universo. Tale significato, che rivela quale fosse la concezione che la sapienza greca aveva della natura, come di un tutto ordinato e armonioso dotato di una logica interna, di razionalità, diventa piuttosto costante nella filosofia antica.

    La natura del lógos è testimonianza della necessità teorica maggiore della filosofia di Eraclito: nella natura gli opposti sono necessari, perché sono tra loro interdipendenti (il buio non esiste senza la luce, il bene non esiste senza il male). Il lógos eracliteo ha, inoltre, anche forma di un fuoco eterno, un fuoco sempre vivo. In base all’intensità del fuoco si hanno le varie manifestazioni della natura, ovvero i vari trópai, stadi del fuoco che rappresentano in forma circolare l’eterno divenire della natura:

  • il fuoco diventa mare attraverso condensazione;
  • dal mare viene a sua volta generata la terra;
  • i vapori che vengono esalati dalla terra e dal mare formano le nuvole;
  • le nuvole a loro volta, incendiandosi, danno vita nuovamente al fuoco.

     È chiaro, allora, perché Eraclito chiami il fuoco anche con gli appellativi di psiche e anima, perché è proprio da esso che si genera tutto e che tutto ritorna.

IL FUOCO DIVENTA MARE
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DAL MARE VIENE GENERATA LA TERRA
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DALLA TERRA E DAL MARE SI GENERANO LE NUVOLE
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LE NUVOLE SI INCENDIANO E TORNANO AD ESSERE FUOCO

Dio è tutto

     L’immagine di dio che scaturisce dalla filosofia di Eraclito proviene direttamente da questa proposta di leggere la natura come un circolo in cui il ruolo principale è assunto dai due elementi del pólemos e del lógos.

     Dio, allora, ha le sembianze figurate di quel fuoco da cui tutto si genera e a cui tutto torna. Questa immagine di dio sostenuta da Eraclito stride moltissimo con le caratteristiche rappresentazioni religiose della Grecia a lui contemporanea. Infatti una delle tante battaglie che, si racconta, Eraclito portò avanti durante la sua vita, fu proprio quella contro l’inutile adorazione di statuette e di simboli che non restituivano all’uomo la reale entità della divinità.

     Come il fuoco, Dio è l’unità di ogni contrario, in lui converge la necessità del conflitto e in lui sono presenti tutte le cose. Si tratta decisamente di una visione panteistica della realtà.

     Dio sarebbe allora increato (ossia esisterebbe da sempre), sempiterno e autosussistente. Non avrebbe bisogno, cioè, di altre spiegazioni al di fuori di se stesso. Come il fuoco egli funziona attraverso un movimento circolare in cui le cose si generano da lui per poi ritornarvi. Le regole di formazione della realtà e le regole del ritorno all’origine di tutte le cose che cessano di vivere sono secondo Eraclito oggettive.

     Il compito del filosofo è proprio quello di rischiarare, di capire e di accertare queste regole immutabili che sottostanno alla ciclicità dell’esistenza del mondo, di un mondo pervaso completamente dalla natura divina.

Derivante dal greco pân (tutto) e theós (dio), il termine panteismo viene introdotto per la prima volta nell’Inghilterra del XVIII secolo. Con panteismo si indica qualsiasi dottrina filosofica che identifica dio con il mondo o con la legge che governa quest’ultimo. Secondo questa concezione, dio non è considerato come una forza esterna al mondo (come accade invece, per esempio, nel cristianesimo), ma immanente ad esso. Sono numerosi i filosofi che nel corso del tempo hanno abbracciato, seppur in diversi modi, una concezione panteistica della realtà. Tra questi basti citare Nicola Cusano, Giordano Bruno e Baruch Spinoza.

Eraclito secondo Borges

Il poeta argentino (vissuto nel XX secolo) Jorge Luis Borges dedica al filosofo di Efeso moltissime delle sue pagine, tra queste la poesia intitolata proprio Eraclito, raccolta in un volume edito nel 1969.

Il secondo crepuscolo.
La notte che penetra nel sonno.
La purificazione e l’oblio.
Il primo crepuscolo.
La mattina ch’è stata l’alba.
Il giorno che fu il mattino.
Il folto giorno che sarà la sera consunta.
Il secondo crepuscolo.
Quest’altra veste del tempo, la notte.
La purificazione e l’oblio.
Il primo crepuscolo.
L’alba segreta e nell’alba.
Lo sgomento del greco.
Che trama è questa
del sarà, dell’è, del fu?
Che fiume questo
pel quale corre il Gange?
Che fiume, la cui fonte è inconcepibile?
Fiume, codesto, che
trascina mitologie e spade.
È inutile che dorma.
Corre nel sonno, nel deserto, in una cava.
Il fiume mi rapisce, io sono il fiume.
Di labile materia fui costrutto, di misterioso tempo.
È in me forse la fonte.
Forse dalla mia ombra
nascono i giorni, fatali e illusioni.

(Jorge Luis Borges, Eraclito, in Elogio dell’ombra)

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