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Massimo Gallo

Storia

COME SI FA RICERCA STORICA: IL PROBLEMA DELLE FONTI

 

Fare “storia” non vuol dire solo avere un bagaglio di carattere teorico-concettuale, ma anche un sistema di regole a cui lo studioso deve uniformarsi per distinguersi dai ricercatori di discipline affini. Indispensabile per il successo della ricerca storica è che nello studioso ci sia “la consapevolezza dell’impossibilità di separare l’osservazione della teoria” (E. Carr, Sei lezioni sulla storia, Einaudi, Torino 1976).

     Punto di partenza di una ricerca storica, per H. Marrou, è coniugare le istanze della metodologia con le domande del ricercatore; infatti la posizione della domanda da parte dello storico deriva innanzitutto dalla cultura generale del singolo studioso: dai suoi livelli e contenuti, ma anche dalla sua apertura e duttilità. Dalla problematica discende l’euristica (dal greco heurisco, ricercare, trovare), da cui, a loro volta, derivano la ricerca e l’analisi dei documenti, fino alla loro migliore comprensione. Donde la spiegazione e, infine, la sintesi, cioè il prodotto finale: il libro, l’articolo, il saggio (Cfr. H. Marrou, La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1962). Ribadito l’ineludibile ruolo della soggettività dello storico, procediamo ora con l’analizzare il primo step del suo lavoro: le fonti.

     Bisogna distinguere tra fonti primarie e fonti secondarie. Le prime (oggetti, testi, documenti) sono relative al periodo storico o argomento che stiamo trattando, le seconde (oggetti, interpretazioni, testi) sono le cosiddette fonti involontarie, cioè quelle testimonianze di altro passato che emergono involontariamente quando ricerchiamo qualcosa. Le fonti, quando parliamo di testi o documenti, si dividono, poi, in edite e inedite, le edite sono tutti quei testi o documenti che hanno trovato pubblicazione e che è possibile rinvenire in biblioteca, le inedite sono invece tutti quei documenti o testi che sono consultabili privatamente e che si possono trovare in archivi privati o pubblici. Droysen classifica le fonti in tre tipi:

(1) tutto ciò che “avanza o resto del passato”, lasciatoci dagli uomini o dagli eventi senza intenzione che fosse percepito o trovato;

(2) le fonti vere e proprie, lasciate con un determinato scopo;

(3) i monumenti “che stanno a metà tra gli avanzi e le fonti”, in cui confluiscono l’intenzionalità memorialistica e l’intento pratico (Cfr. J. D. Droysen, Istorica. Lezioni sulla Enciclopedia e Metodologia della storia, Ricciardi, Milano-Napoli 1966).

Topolsky ha poi completato questa classificazione tra fonti dirette e indirette, introducendo il criterio della scrittura, e le ha distinte in fonti “scritte” (dirette) e “non scritte” (indirette) [Cfr. Topolsky, Metodologia della ricerca storica, Il Mulino, Bologna 1975].

     Al di là della classificazione delle fonti, bisogna comunque accertarne la loro autenticità sia “formale” che “sostanziale” (Cfr. F. Chabod, Lezioni di metodo storico, Laterza, Bari 1983), procedendo attraverso la “critica esterna e interna” delle fonti; la critica esterna ha come obiettivo quello di identificare l’autore, la data, il luogo di provenienza di un documento, la critica interna vaglia invece l’autenticità del documento e cerca di risolvere tutti i problemi linguistici, concettuali e culturali che possono emergere per la “distanza storica”. Una volta fatto ciò, si procede alla lettura e interpretazione delle fonti con quella “discrezione” di memoria guicciardiniana; lo storico deve evitare tanto la credulità eccessiva, tanto, all’opposto, il pregiudizio negativo e accostarsi alle fonti con pazienza e apertura, cercando di criticarle con il buon senso, quel “senso della misura” che deve guidare ogni ricercatore intellettualmente onesto. Lo storico, poi, può scegliere se adottare il criterio di “casualità” o di “spiegazione”: il primo cerca di dare un giudizio positivo o negativo sul tema oggetto della ricerca, il secondo invece cerca di capire ol perché di un determinato accadimento. Se “l’essenza del metodo storico è comprendere indagando” non si possono cercare risposte rassicuranti né conferme alle posizioni ideologiche, ma soltanto porre nuove questioni, nuovi problemi per successive ricerche (Per la metodologia della ricerca storica cfr. A. Pagano, Scuola e maestri del sud, Pensa, Lecce 2004)

Le “nuove” fonti

     Le fonti storiche comprendono ogni genere di testimonianza delle proprie passate attività lasciate dagli esseri umani: la parola scritta e parlata, la conformazione dei paesaggi e il manufatto, le belle arti, la fotografia e il cinema. Negli ultimi quarant’anni la gamma delle fonti sulle quali gli storici rivendicano una competenza si è certamente allargata; oggi essa, in seguito alla “rivoluzione documentaria” prodotta dalle nouvelle historiographie, comprende aspetti geografici, sociologici, economici, psicologici e, per la storia più recente, il cinema e Internet. Procediamo, allora, nell’analisi delle nuove fonti.

– Audiovisive

     Nastroteche, fototeche e filmoteche compongono fondi archivistici di nuovo tipo che consentono allo storico di oggi di assistere al “vero” e, anche a distanza di notevole tempo, agli avvenimenti da lui studiati.

     Tra fotografia da un lato e cinema e televisione dall’altro, sussiste, invero, una differenza fondamentale: quella fotografica è una ripresa statica, laddove la sequenza cinematografica o televisiva introduce il movimento dinamico con una completezza dell’immagine eguale a quella fonica della registrazione radio, che a sua volta dal vivo fornisce allo storico le voci e i rumori degli avvenimenti. Certo, nessun documentario potrà mai offrire nella sua totalità lo svolgimento di una battaglia, di una rivolta, perché anche la macchina da presa e/o il registratore operano una selezione che obbedisce ai canoni del mestiere o all’estro individuale di chi riprende o registra; di fatto sarebbe un errore considerare il materiale offerto dai mezzi tecnici come garantito da un’oggettività particolare. Lo stesso non si può dire per la fotografia, che conosce uno sviluppo tecnico tale da garantire l’immediatezza e il carattere della ripresa, che vuol dire anche insieme, ma non contraddittorialmente, maggiore aderenza del mezzo impiegato alla “realtà” e maggiore libertà e possibilità di espressione e di interpretazione che il mezzo consente all’operatore. Le fonti audiovisive della storia contemporanea non si riducono solo a quelle dirette e volontarie del documentario o del reportage foto-cinetelevisivo, ma comprendono la gamma molto più ampia di tutta la produzione foto-cine-televisiva e radiofonica. Nel cinema, ad esempio, l’intero arco di produzione, da quella unicamente industriale e commerciale al cinema d’essai, è una miniera di volti, abbigliamenti, stati di luoghi o di cose che, quando anche il film nasce come pura fiction (Napoleone o Garibaldi) possiede una capacità documentaria che, per quanto diretta o indiretta, aspetta solo di essere interrogata.

– Orali

     La tecnica moderna mette a disposizione della ricerca storica varie fonti foniche; impareggiabile è il contributo che offrono allo storico testimonianze, ricordi, racconti di fatti recenti e passati raccolti grazie all’ausilio del registratore, che permette di ascoltare “viva voce” ciò che generalmente si trova in un testo scritto. Anzi, le versioni orali del singolo sono sottoposte ad oscillazioni, variazioni, confusioni, sovrapposizioni, trasformazioni che il documento scritto comporta, invece, solo fino a un certo punto. Spesso lo storico si trova a dover fronteggiare, oltre a versioni differenti di soggetti diversi sugli stessi fatti, più versioni dello stesso individuo sullo stesso fatto, senza peraltro trascurare che quiz, domande o questionari e il modo stesso di porli può essere un instradamento alla risposta. Quindi è sempre lo storico che deve “leggere” al di là e oltre ciò che il soggetto dice tra le righe, il non detto, il chiaroscuro, il metaforico, il simbolico.

– Giornalistiche

     Un terzo vastissimo settore di fonti nuove si offre alla storia contemporanea nell’ancor più vasto mondo del giornalismo. Certo il giornale non nasce ai nostri giorni, ma è soltanto nel XX secolo che esso ha raggiunto la completa maturità e ricchezza di articolazioni che ne fanno un mezzo di comunicazione di massa tra i più importanti, anche in quello che oggi è soprattutto il mondo della televisione. Il giornale si presenta come una fonte assai differenziata di informazioni, come un registratore cartaceo della realtà in cui si muove; esso è il testamento di ciò che accade nella società, lo specchio del potere pubblico e di partiti, sindacati, forze politiche, ecc.

     Ovviamente anche il giornale, come tutte le fonti vecchie e nuove, deve essere sottoposto a critica, perché non sempre è neutrale nel riportare un certo evento o descrivere un determinato fenomeno, ma così come detto per altre fonti, solo lo storico è in grado di operare in tal modo e può trasformare il giornale in un importante “archivio della memoria passata e presente”.

– Telematiche

     Lo sviluppo che hanno conosciuto le applicazioni informatiche e telematiche dagli anni Novanta in poi ha contribuito notevolmente nell’avanzare della ricerca storica.

     All’inizio della loro diffusione, gli elaboratori sono stati utilizzati dagli storici per applicazioni di word processing e solo più tardi sono stati applicati alla ricerca, dove in effetti il loro avvento ha determinato un diverso approccio alle fonti. Due versanti distanti sono stati immediatamente identificati: quello prettamente documentario dell’archiviazione dei dati, sfociato nella costruzione degli archivi, e quello della realizzazione di sistemi logici per l’elaborazione di modelli interpretativi dei dati stessi.

     Il modo di lavorare degli storici ha poi subito un ulteriore brusco mutamento con l’avvento della telematica e con la sostanziale trasformazione delle tecniche comunicative che ne è conseguita; lo scenario è mutato soprattutto con la rivoluzione della posta elettronica che ha favorito lo sviluppo delle reti di collaborazione. Essa infatti non si limita a consentire il semplice scambio tra due utenti, ma offre risorse di grande utilità, che costituiscono strumenti di discussione e incontro nella rete.

     Ricordiamo le mailing list o liste di distribuzione postale, che permettono di dialogare con un sistema di conferenza differita su uno specifico argomento che costituisce l’oggetto della lista stessa (topic), e i newsgroup, o gruppi di discussione, che sono una sorta di bacheca virtuale pubblica sulla quale chiunque voglia intervenire può farlo senza particolari formalità, inserendo dei messaggi (post) che saranno memorizzati sul server, dove restano accessibili a tutti. L’efficacia degli strumenti telematici va riconosciuta per la ricerca bibliografica, per l’affermazione dell’editoria elettronica, per la diffusione degli archivi digitali, ma qual è il valore di questo documentazione “artificiale”?

     In primo luogo si tratta di un valore “quantitativo”, dato che, abbiamo detto, il mondo di Internet permette allo storico di accelerare i tempi di lavoro, in secondo luogo si tratta anche di un valore “qualitativo” perché il lavoro di ricerca e di riflessione usufruisce della forte intensificazione della circolazione e scambio di dati, di idee e della relativa discussione in tempi brevissimi.

     Certamente, però, non vanno dimenticati i problemi connessi all’uso della macchina: instabilità del software, autenticità e durevolezza dei dati che possono essere in qualunque momento manipolati, perdita del contesto e ricchezza informativa originari, selezione dei documenti, e così via. Pertanto lo storico che si “siede al computer” non deve leggere passivamente le informazioni alle quali ha accesso ma deve dare loro un senso (Per Le Nuove fonti della ricerca storica, cfr. Le Nuove fonti a cura di A. Pagano, in Quaderni del Dipartimento, Bari, numero 4, anno VIII, giugno 2002-dicembre 2004).

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